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Sotto il tunnel i media diventano follower

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Un venerdì sera di settembre il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica Mariastella Gelmini pubblica un comunicato (adesso cancellato ma ritrovabile come screenshot dai blog) che probabilmente rimarrà nella storia. Il giorno precedente un esperimento sui neutrini condotto tra il Cern e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso aveva forse trovato la prova che la velocità della luce può essere superata, anche se in mancanza di controprova i dubbi rimangono numerosi. Ma non è questa la motivazione storica, la vicenda è ormai nota.

Il guaio e la pecetta

Il comunicato del ministro cita con toni trionfalistici l’impegno del governo poiché «alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro». L’affermazione viene subito notata sui social media italiani, generando un flusso ininterrotto di ironia, di cui è ormai superfluo spiegare il perché. Questo movimento a sua volta viene notato in fretta dai media mainstream e arriva in poco tempo sulle prime pagine dei quotidiani e nei telegiornali. Siamo al sabato e in pieno polverone l’ufficio stampa del ministro cerca di mettere una toppa rilasciando un nuovo comunicato: il tunnel a cui si riferiva sarebbe quello del Cern in cui si scontrano i protoni che poi generano il flusso di neutrini. L’affermazione è così differente dalla precedente che non convince quasi nessuno.

Il risultato è che in due giorni i social media dettano l’agenda su un tema, dopo averlo scovato e promosso, e finiscono in primo piano sui mass media. I tweet dei partecipanti vengono mostrati e raccontati al tg e sui quotidiani. Per fare un esempio, i miei vengono citati o compaiono su L’Unità, Tg3, Rai News e poi ho perso il conto. Questo anche grazie ai tanti giornalisti che usano ormai quotidianamente la rete e che si interessano sempre più alle interazioni sociali che vi avvengono. A questo punto immagino già l’osservazione di molti comunicatori e giornalisti: senza l’amplificazione dei mass media non sarebbe accaduto nulla ed è avvenuto proprio da parte delle testate più critiche, nella speranza di sollevare un polverone o di fare polemica. Sarebbe un errore di prospettiva, lo stesso che porta l’ufficio stampa del Ministro a pubblicare un comunicato di venerdì sera, nella speranza forse che passi in secondo piano.

Tutti interconnessi

Il “Popolo della Rete” (espressione da abolire) sarà anche un’invenzione strumentale dei giornali, frutto di ignoranza o opportunismo, ma questo non toglie valore a quanto è accaduto e che sta accadendo. Fare considerazioni quantitative, stile Auditel, sul fenomeno social in Italia, per confrontarlo con i mass-media, porta fuori strada. L’unico modo per valutarlo è osservarne gli effetti così come li vediamo. E l’effetto politico ultimo, l’epilogo della vicenda, sono le dimissioni del portavoce del ministro. Quello della comunicazione è ormai un ecosistema in cui tutte le parti sono connesse. I mass media non integrano come fonte i social media semplicemente per motivi strumentali: non funzionerebbe (penso ai numerosi dubbi sull’operazione SpiderTruman), ma a causa della reputazione che questi ultimi si sono guadagnati.

Questo è un punto cruciale per poterci addentrare nella comprensione di una nuova era di comunicazione attiva. Il concetto di reputazione è un elemento chiave nella comunicazione digitale, è stato pian piano adottato nei comportamenti quotidiani della gente e oggi ha invaso anche il sistema della comunicazione di massa. Va a scontrarsi col meccanismo dell’autorevolezza, che proviene dall’alto, gerarchico: il comunicato ufficiale, «l’ha detto la TV», «è scritto sul giornale». Per la prima volta il cambiamento avviene dal basso e chi è in alto si deve adeguare. Questa reputazione è l’unica vera moneta di scambio nei social media, è il parametro di valore ed è quasi impossibile da falsificare. Non abbiamo ancora una formula per misurarlo (e forse non l’avremo mai) ma esistono alcuni tentativi, quasi giocosi, di dargli una misura.

Agenti del cambiamento

Di fatto i mass media non utilizzano questi meccanismi, ma non possono rifiutarsi di riportare queste informazioni perché altrimenti lo farebbe qualcun altro e nella loro ottica generalista e omnicomprensiva diventerebbe una carenza. Per la prima volta i giornali e la tv non sono leader, ma follower nei confronti della gente e non possono fare altro che essere agenti del cambiamento, partecipare anche senza capire fino in fondo dove si sta andando. Per la prima volta le possibili risposte non sono sulla carta stampata o raccontate in televisione, ma sono online, ovunque. «Giornata al calor bianco» usava dire in occasioni particolari Enrico Mentana, uno dei giornalisti più innovativi dell’epoca pre-social media, come il colore del calore sviluppato dalla fissione nucleare di una bomba atomica. Oggi invece l’informazione viaggia in maniera diffusa, permeabile, veloce, costante come i neutrini, lasciando indietro i pesanti protoni e le loro esplosioni clamorose.


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